Insegnare agli adolescenti
Alcune proposte basate sulla ricerca neuroscientifica
Comprendere l’origine di certi comportamenti può aiutare a vedere gli studenti e le studentesse con altri occhi e a trovare la motivazione necessaria per svolgere al meglio il proprio lavoro. In quest’ottica, gli allievi non sono più individui difettosi, ma individui bisognosi del sostegno dei docenti per diventare cittadini responsabili.
È, per esempio, il caso degli atteggiamenti tipici degli adolescenti. Quello dell’adolescenza sembra essere un periodo di cambiamenti neurobiologici, oltre che fisici. Tali mutamenti interessano in particolare i lobi frontali, il centro direttivo del cervello; iniziano intorno ai 10 anni e si protraggono per qualche decennio.
A causa di questi lavori in corso, i lobi frontali non sono al massimo dell’efficienza e ciò crea degli inconvenienti. Di seguito, riassumerò alcuni di essi e, nel contempo, illustrerò delle proposte per tradurre i risultati delle ricerche neuroscientifiche in pratica didattica.
Maggiore assunzione di rischi se il compito è stimolante
Gli adolescenti agirebbero senza pensarci due volte se un compito li stuzzica. Ciò significa che, per motivarli a partecipare attivamente alle lezioni, sarebbe meglio proporre attività sfidanti, come quelle di problem solving. Al contrario, se trovano la lezione noiosa, la minore capacità di autocontrollo potrebbe impedire loro di concentrarsi sull’attività.
Maggiore assunzione di rischi in presenza dei pari
Poiché gli adolescenti sono in cerca di autonomia dagli adulti (per esempio, dai genitori), i coetanei diventano il punto di riferimento. Il bisogno di accettazione è alto e ciò li spingerebbe ad assumere più rischi in loro presenza. Ciò suggerisce come il lavoro in coppie possa essere particolarmente apprezzato da questo tipo di apprendenti. Tuttavia, tutti dovranno essere messi nella posizione di poter offrire aiuto, oltre che di riceverlo, per essere maggiormente graditi ai compagni: la qualità del lavoro ne gioverà. Per raggiungere questo obiettivo, si potrebbero confezionare più versioni della stessa attività, differenti solo per il grado di difficoltà. In questo modo, anche i discenti con più carenze potranno contribuire alla discussione: la loro versione conterrà più informazioni rispetto a quella dei compagni più preparati.
Maggiore assunzione di rischi in presenza di novità
Gli adolescenti si esporrebbero maggiormente ai rischi se l’esperienza è inedita: probabilmente desiderano imparare il più possibile per rendersi indipendenti. Ci sono due modi per creare esperienze nuove in classe. La prima, ovviamente, è quella di proporre attività mai svolte prima.
La seconda, invece, consiste nel presentare esperienze nuove solo in parte, variando anche un solo elemento. Suggerisco questo espediente nel caso di attività a cui l’insegnante non può rinunciare per la loro efficacia nel raggiungere gli obiettivi prefissi. Per di più, le attività già note sono economiche, in termini di tempo necessario per capire il da farsi; inoltre, gli studenti spesso si sentono più sicuri.
Tra gli elementi modificabili figurano: il luogo (per esempio, qualche volta le attività potrebbero essere svolte all’aperto anziché in aula); i materiali (una volta si può partire da un’immagine; un’altra da un filmato; ecc.); la struttura dell’attività (per esempio, qualche volta si possono cambiare i componenti delle coppie due volte; qualche altra volta tre; ecc.); la sequenziazione delle attività (per esempio, una volta la lezione comincia con un’attività, mentre la volta successiva con un’altra).
Difficoltà a comprendere il significato sociale dei volti
A questa età, lo sviluppo della capacità di comprendere il significato delle espressioni del volto è in corso. Di conseguenza, sarebbe meglio evitare espressioni che si prestano facilmente a molteplici interpretazioni, per evitare di essere fraintesi e sciupare il rapporto. Per esempio, un volto concentrato, stanco o preoccupato, potrebbe essere scambiato per un volto adirato: è più prudente mostrarsi sempre sorridenti.
Difficoltà a concentrarsi
Gli adolescenti si distrarrebbero più facilmente in presenza di uno stimolo nell’ambiente. È compito del docente proteggerli: senza attenzione, non c’è apprendimento. Possono essere fonte di distrazione le aule troppo decorate, gli smartphone, ecc.
Per lo stesso motivo, sarebbe opportuno evitare di mettere in coppia discenti che, se insieme, farebbero fatica a rimanere concentrati sull’attività.
Maggiore difficoltà a gestire lo stress
Durante la fase adolescenziale, gli studenti e le studentesse sarebbero meno abili a controllare lo stress. Quando possibile, sarà necessario evitare situazioni potenzialmente ansiogene. Se in aula regna il caos, la classe non è coesa, il clima che si respira è autoritario e i bisogni e gli interessi degli allievi non vengono presi in considerazione, molto probabilmente il livello di stress degli allievi sarà elevato, con conseguenze negative sull’apprendimento.
Adattare le attività o proporle in un certo modo è un altro fattore che potrebbe contribuire a contenere lo stress: è importante che non appaiano impossibili o troppo sfidanti. Anche i compiti in classe e le interrogazioni potrebbero essere fonte di stress: avere l’opportunità di discutere delle proprie preoccupazioni con i compagni e di simulare compiti e interrogazioni potrebbe ridurre la tensione.
Memoria di lavoro limitata
Questo tipo di allievi fatica a ricordare: a volte infrange le regole non con questo intento, ma perché le ha dimenticate o perché ha dimenticato le conseguenze a cui andrà incontro. Per correre ai ripari, le regole e le relative conseguenze potrebbero, per esempio, essere attaccate a una parete dell’aula, sempre ben visibili a tutti.
Francesco Diodato
Francesco Diodato, glottodidatta, è considerato il massimo esperto in Giappone di didattica dell’italiano come lingua straniera. È professore associato presso il Dipartimento di Lingua Italiana della Kyoto Sangyo University. È inoltre coinvolto nella supervisione di progetti di ricerca e di collaborazione internazionale con atenei italiani e in percorsi di formazione glottodidattica.
I suoi interessi di ricerca riguardano principalmente i fattori interni allo studente (la motivazione, le convinzioni, l’ansia, ecc.), lo sviluppo dell’autonomia dei discenti, la neurodidattica, la didattica dell’italiano a studenti universitari, l’apprendimento attivo, l’apprendimento collaborativo, il costruttivismo, la gestione della classe, il lavoro in coppia, l’acquisizione della seconda lingua, la formazione dei docenti.