La lingua italiana all’estero
L’esperienza di un professore italiano in Giappone
Nonostante una considerevole distanza separi l’Italia e il Giappone, nel Paese del Sol Levante c’è molta lingua italiana. Mi riferisco specialmente al settore commerciale: insegne dei negozi, nomi dei prodotti, ecc. non di rado sono italiani o italianeggianti. Gli errori di ortografia però abbondano e non c’è sempre una corrispondenza semantica tra la parola e l’oggetto. In più, quando le parole sono trascritte in kana, la scrittura fonetica giapponese, la pronuncia si discosta, almeno in parte, dall’originale. Ciò avviene per l’impossibilità di riprodurre fedelmente i suoni italiani con questo sistema e, verosimilmente, per semplificare la pronuncia italiana adattandola a quella giapponese. In altri termini, la correttezza non è una priorità: ciò che conta è che le parole stabiliscano un contatto con l’Italia e con tutto ciò che essa evoca.
Quanto è diffuso l’insegnamento della lingua italiana?
Per rispondere a questa domanda, partirò dai dati raccolti qualche anno fa dal Ministry of Education, Culture, Sports, Science and Technology.
Tra le scuole secondarie di primo grado, 1 offre corsi d’italiano. L’italiano si posiziona così al settimo e ultimo posto dopo l’inglese, il francese, il cinese, il coreano, lo spagnolo e il tedesco, per numero di scuole nelle quali questo insegnamento è impartito.
Le scuole secondarie di secondo grado nelle quali sono presenti corsi di lingua italiana sono 13. L’italiano occupa una posizione simile alla precedente: è all’ottavo posto dopo l’inglese, il cinese, il coreano, il francese, il tedesco, lo spagnolo e il russo. È seguito da una decina di lingue, per la maggior parte asiatiche; tra le europee figura il portoghese.
All’università le cose non cambiano. L’italiano viene insegnato in 111 università (il 15,1% del totale) e si posiziona all’ottavo posto dopo l’inglese, il cinese, il francese, il coreano, il tedesco, lo spagnolo e il russo. È seguito da poche altre lingue, tra le quali, ancora una volta, troviamo il portoghese.
Le università che offrono corsi d’italiano generalmente sono quelle nelle quali ci si specializza in musica e nelle belle arti. Ci sono anche 6 università nelle quali è possibile specializzarsi proprio nella nostra lingua.
La lingua italiana si insegna anche in alcune scuole professionali (si tratta di scuole per accedere alle quali è necessario almeno un diploma di scuola secondaria di secondo grado) e al Foreign Service Training Institute del Ministry of Foreign Affairs: è il luogo nel quale vengono formati i diplomatici giapponesi.
Ci sono corsi di lingua italiana anche presso associazioni italo-giapponesi, la Società Dante Alighieri e l’Istituto Italiano di Cultura.
L’italiano si insegna inoltre presso diverse scuole private di lingue. Secondo alcune vecchie statistiche fornite dal Ministry of Economy, Trade and Industry, i corsi d’italiano sono offerti dal 9,3% di esse (su un totale di 1.200 scuole oggetto dell’indagine). L’italiano occupa, così, la settima posizione, dopo l’inglese, il cinese, il francese, lo spagnolo, il tedesco e il coreano.
La seguente è una lista non esaustiva di scuole e istituti, suddivisi per città, nei quali si insegna esclusivamente o principalmente l’italiano.
Kyoto
1. Centro Culturale Italo Giapponese
2. Scholarum
Nagoya
Osaka
1. Centro Culturale Italo Giapponese
2. Ciao amici
3. Istituto Italiano di Cultura - Osaka
5. Società Dante Alighieri Comitato di Osaka
Tokyo
1. Associazione italo-giapponese
2. Bell’Italia
3. Il Centro - Società Dante Alighieri Comitato di Tokyo
5. Istituto Italiano di Cultura - Tokyo
6. Linguaviva
7. piazzaItalia
Diversi insegnanti lavorano (anche) in privato. Per trovare studenti, spesso si registrano gratuitamente su appositi siti. Ne segnalo due:
2. Hello-Sensei
L’italiano si può imparare anche alla televisione o alla radio, insieme all’inglese, al francese, al cinese, allo spagnolo, al coreano, al tedesco, al russo, all’arabo e al portoghese (le ultime tre solo alla radio).
I dati sopra riportati mostrano come la lingua italiana sia riuscita a conquistarsi una posizione di tutto rispetto. Tuttavia, attrae un numero ristretto di persone se paragonata ad altre lingue: il motivo probabilmente è da ricercare nel fatto che non è una lingua di lavoro, ma di cultura.
Chi insegna italiano?
Spesso una formazione glottodidattica non costituisce un requisito indispensabile per insegnare l’italiano: è sufficiente essere di madrelingua italiana, forse in parte per la difficoltà a reperire un numero congruo di docenti qualificati.
Molti scelgono di insegnare per ripiego, perlomeno all’inizio. Qualcun altro lo fa per arrotondare: rimasi perplesso quando, anni fa, una studentessa mi chiese: “Ma tu… che lavoro fai?”
Per insegnare italiano, bisogna essere pronti a spostarsi molto: le scuole, le università, ecc. in genere possono offrire solo poche lezioni e questo rende necessario lavorare in più scuole per poter sbarcare il lunario.
Chi studia italiano?
Nella mia esposizione prenderò in considerazione solo gli studenti adulti e anziani, e gli studenti universitari, poiché sono le categorie a me note, nonché le più comuni.
Studenti adulti e anziani
Chi studia italiano per scelta, come coloro che frequentano una scuola privata di lingue, solitamente è mosso da un genuino interesse per l’Italia. Questi studenti, spesso adulti o anziani, sono affascinati dal nostro patrimonio enogastronomico, artistico o naturale, dall’opera lirica, e così via. Questa attenzione verso la nostra cultura non sempre si traduce in dedizione allo studio; tuttavia, ritengo che, mediamente, questa tipologia di studenti sia più motivata degli studenti universitari. I problemi di disciplina, poi, sono sporadici: l’impegno richiesto al docente nella gestione della classe è minore. Maggiori, però, sono le energie da spendere per adattare attività non tradizionali, a causa di una certa diffidenza verso certe metodologie.
Studenti universitari
All’università, molti non studiano l’italiano per un’attrazione particolare nei confronti della lingua o del Paese; la possibilità che l’italiano torni utile nel mondo del lavoro è poi remota. Tra i miei vecchi studenti che apprendevano l’italiano come materia secondaria, alcuni riferivano che la scelta era caduta sull’italiano perché per un giapponese la pronuncia è più facile di altre lingue. Tra gli studenti che invece si specializzavano in italiano, alcuni dichiaravano che si trattava di un ripiego, non essendo riusciti a superare l’esame di ammissione dell’università alla quale aspiravano.
Molti studenti universitari che manifestano un interesse nei confronti del nostro Paese rivelano motivazioni a mio avviso deboli. Per esempio, c’era chi aveva scelto di studiare l’italiano perché non poteva rinunciare al gelato; chi sognava di girare per Roma in Vespa come Audrey Hepburn nel film “Vacanze romane”; chi alla scuola secondaria di secondo grado aveva avuto un insegnante d’inglese originario dell’Italia giudicato “figo”.
La bassa motivazione spesso si abbina a comportamenti poco lodevoli: c’è chi parla di fatti privati con un compagno; chi usa lo smartphone per scopi che esulano dall’attività didattica; chi si trucca; chi è indisponente; chi si reca puntualmente in bagno; ecc.
Ho notato, tuttavia, che è più facile far accettare una metodologia non tradizionale agli universitari che agli adulti e agli anziani. In parte, ciò presumibilmente è dovuto a una maggiore flessibilità cognitiva associata alla giovane età. Sospetto, però, che il motivo sia da ricercarsi anche altrove: nel fatto che nelle lezioni non tradizionali, ai loro occhi, non si studia, almeno non secondo l’accezione che loro danno al termine: memorizzazione di liste di parole e di regole grammaticali; e nel fatto che nelle attività proposte si tratta principalmente di praticare la lingua parlata (in qualità di madrelingua, mi vengono assegnati i cosiddetti “corsi di conversazione”), piuttosto che quella scritta: attraverso l’interazione con un compagno, si rendono più facilmente conto dell’utilità delle attività, con conseguente incremento della motivazione.
C’è un altro tratto che differenzia gli universitari dagli adulti e gli anziani: il fatto che i primi devono ricevere un voto. È al momento della valutazione che potrebbero riaffiorare delle convinzioni limitanti.
Per esempio, gli studenti potrebbero imputare le cause del deludente risultato alla metodologia e al fatto che l’insegnante non aveva esplicitato quali parole e regole grammaticali sarebbero state oggetto dell’esame di produzione orale. Con l’esperienza s’impara a prevenire molte di queste obiezioni: per esempio, nel secondo caso io dico che non mi interessa quali parole e regole grammaticali useranno correttamente, ma quante: questo, in genere, li tranquillizza.
Francesco Diodato
Francesco Diodato, glottodidatta, è considerato il massimo esperto in Giappone di didattica dell’italiano come lingua straniera. È professore associato presso il Dipartimento di Lingua Italiana della Kyoto Sangyo University.
È inoltre coinvolto nella supervisione di progetti di ricerca e di collaborazione internazionale con atenei italiani e in percorsi di formazione glottodidattica.
I suoi interessi di ricerca riguardano principalmente i fattori interni allo studente (la motivazione, le convinzioni, l’ansia, ecc.), lo sviluppo dell’autonomia dei discenti, la neurodidattica, la didattica dell’italiano a studenti universitari, l’apprendimento attivo, l’apprendimento collaborativo, il costruttivismo, la gestione della classe, il lavoro in coppia, l’acquisizione della seconda lingua, la formazione dei docenti.
Francesco Diodato
Francesco Diodato, glottodidatta, è considerato il massimo esperto in Giappone di didattica dell’italiano come lingua straniera. È professore associato presso il Dipartimento di Lingua Italiana della Kyoto Sangyo University. È inoltre coinvolto nella supervisione di progetti di ricerca e di collaborazione internazionale con atenei italiani e in percorsi di formazione glottodidattica.
I suoi interessi di ricerca riguardano principalmente i fattori interni allo studente (la motivazione, le convinzioni, l’ansia, ecc.), lo sviluppo dell’autonomia dei discenti, la neurodidattica, la didattica dell’italiano a studenti universitari, l’apprendimento attivo, l’apprendimento collaborativo, il costruttivismo, la gestione della classe, il lavoro in coppia, l’acquisizione della seconda lingua, la formazione dei docenti.