2021: In viaggio con Durante degli Alighieri, detto DANTE
Dante nell’arte e nella letteratura
Il 2021 è l’anno dedicato a Dante Alighieri: poeta, scrittore, teologo, uomo politico, considerato il padre della lingua italiana e uno dei massimi esponenti della letteratura mondiale.
Un anno all’insegna di iniziative, mostre e manifestazioni volte a ricordare i settecento anni dalla morte del Sommo Poeta, nato a Firenze tra il 21 maggio e il 21 giugno 1265 e morto a Ravenna nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321.
Monumenti scultorei, effigi, immagini di Dante sono in ogni parte del modo a testimoniare una fama che ha oltrepassato le aule scolastiche, gli ambienti culturali accademici, le biblioteche, per diventare una presenza viva nella cultura. Le continue pubblicazioni, i convegni a tema, sottolineano l’attualità di un autore eccezionale, fonte di ispirazione per pittori, letterati, musicisti dal medioevo ai nostri giorni.
LA LECTURA DANTIS: UNA TRADIZIONE CHE VIENE DA LONTANO
Eventi e rassegne di “letture dantesche” da parte dei media, di teatri, di enti culturali, hanno rivelato come quella di Dante sia un’opera capace di appassionare, coinvolgere, di richiamare valori e riflessioni di grande attualità e autentica modernità. Dante parla di sentimenti, drammi, speranze, che appartengono all’uomo, oltre il tempo, oltre le concrete esperienze vissute. Dante nella “selva oscura”, che si confronta con la sofferenza degli uomini e delle donne, che cerca risposte, che indaga il mistero dell’esistenza, è ciascuno di noi. Così non è irrilevante chiedersi se lo spettacolo di piazze piene di pubblico rappresenti un fenomeno solo del nostro tempo, una strategia mediatica, un viaggio di riscoperta. In realtà la Lectura Dantis (espressione riferita alla lettura ad alta voce degli scritti di Dante, soprattutto dei Canti delle Divina Commedia) è un rito, una tradizione secolare, scaturita dall’interesse che l’opera dantesca, in particolare la Commedia, ha avuto quasi costantemente nel corso dei secoli.
Antesignano, nel 1373, della Lectura Dantis, fu Giovanni Boccaccio (1313-1375), l’autore del Decameron, incaricato dal comune di Firenze di commentare pubblicamente la Comèdia: «A favore dei cittadini che desiderano essere istruiti nel libro di Dante, dal quale, tanto nella fuga dei vizi quanto nell’acquisizione delle virtù, quanto nella bella eloquenza possono anche i non letterati essere educati».
Fu proprio il Boccaccio ad aggiungere al titolo dell’opera l’aggettivo Divina con cui la conosciamo oggi, secondo quanto è dato ritrovare nel Trattatello in laude di Dante del 1362.
Ricordando le parole di Calvino “un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire”, riconosciamo che Dante rappresenta questa idea nel senso più alto del termine. Parlare di Dante, soprattutto della Divina Commedia, vuol dire trattare di un testo unico nella produzione letteraria mondiale, inesauribile nella ricerca di significato, innovativo e originale nella forma linguistica.
Nel caso di Dante possiamo parlare di un vero culto, iniziato già negli anni in cui era in vita, un apprezzamento al letterato riconosciuto erede dei grandi classici, simbolo stesso della poesia.
Giovanni Boccaccio fu un grande ammiratore di Dante, lesse i suoi scritti, lo imitò e ne diffuse l’opera. Di lui scrisse una biografia, proprio il Trattatello in laude di Dante (1362), in cui si fondono elementi di documentazione storica e descrizioni volte a idealizzare quel poeta che definisce “singulare splendore italico”.
Questa la descrizione che possiamo leggere nel Trattatello:
“Fu adunche questo nostro poeta di mediocre statura e poi che alla matura età fu pervenuto, andò alquanto curvetto; e il suo andare grave e mansueto; d'onestissimi panni sempre vestito. Il suo volto fu lungo, e 'l naso aquilino; e gli occhi anzi grossi che piccoli; le mascelle grandi; e dal labbro disotto era quello di sopra avanzato; e il colore era bruno; e i capelli e la barba spessi, neri e crespi: sempre in faccia malinconico e pensoso.”
LA RAPPRESENTAZIONE ICONOGRAFICA DI DANTE
Se grazie a Boccaccio conosciamo la figura di Dante e i suoi aspetti caratteristici nella personalità, è a Giotto, contemporaneo e amico del grande fiorentino, che dobbiamo il primo ritratto dell’illustre poeta.
Bottega di Giotto, Ritratto di Dante (1300-1302)
Nell’affresco Dante è vestito con un abito rosso, il colore diventato un simbolo, riproposto successivamente nelle tante opere pittoriche che hanno celebrato il poeta.
Famoso il ritratto di Luca Signorelli, ma le citazioni possono essere innumerevoli poiché tanti altri pittori, a partire dal medioevo, hanno voluto interpretare Dante, fino a Salvador Dalì nel Novecento.
Nei diversi ritratti lo sguardo di Dante è quello di un uomo “cortese e civile”, come scrive Boccaccio, ma è innanzitutto lo sguardo di un poeta che esprime profonda umanità, che guarda agli esseri viventi, secondo le diverse condizioni, volti a diverse mete “per lo gran mar dell’essere” (Paradiso, Canto I, 113).
Agnolo Bronzino, Ritratto allegorico di Dante (1530)
Soffermiamoci sul dipinto di Agnolo Bronzino: qui si può rintracciare l’allegoria dell’immagine del poeta. Dante è con un abito rosso e con in capo la corona da Poeta, riferimento alla sua celebre Divina Commedia. Il volume è aperto a evidenziare le pagine del canto XXV del Paradiso, mentre il poeta guarda alla montagna del Purgatorio. La sua mano sembra proteggere la città di Firenze. Mondo terrestre e mondo ultraterreno sono avvicinati, contemplati e armonizzati in una sintesi unica.
Nel canto XXVII del Purgatorio Virgilio, nel salutare Dante, gli ricorda che ormai non dovrà più aspettare il suo insegnamento: «Non aspettar mio dir più né mio cenno; / libero, dritto e sano è tuo arbitrio, / e fallo fora non fare a suo senno: / per ch’io te sovra te corono e mitrio» (Purgatorio XXVII, 139-142).
Dalì Salvador (Figueras, 1904 - 1989)
XXVII Canto del Purgatorio - Le ultime parole di Virgilio prima che Dante arrivi al Paradiso, incontrando Beatrice
Ecco l’incoronazione di Dante da parte di Virgilio, sua guida e suo maestro. Ecco il riferimento della corona d’alloro, simbolo iconografico con cui il poeta è sempre raffigurato. Simbolo che, secondo fonti autorevoli, fu per Dante riconoscimento e consacrazione di eccellenza quando dopo la morte a Ravenna, il suo corpo fu seppellito con la corona di alloro in testa e la Divina Commedia in petto.
Ma quell’alloro proveniva da lontano, dal sogno profetico della madre di Dante, Bella, morta quando Dante aveva solo cinque o sei anni. Narra il Boccaccio che ella, non lontana dal tempo del partorire, “per sogno” vide quale doveva essere il frutto del suo ventre, sotto un alloro, nei pressi di una fonte.
“..pareva alla gentile donna nel suo sonno essere sotto uno altissimo alloro sopra uno verde prato, allato ad una chiarissima fonte, e quivi si sentia partorire uno figliuolo, il quale in brevissimo tempo, nutricandosi(nutrendosi) solo delle orbache(bacche), le quali dello alloro cadevano, e delle onde della chiara fonte, le parea che divenisse un pastore, e s’ingegnasse a suo potere d’avere delle fronde dell’albero, il cui frutto l’avea nudrito; e, a ciò sforzandosi, le parea vederlo cadere, e nel rilevarsi(sollevarsi) non uomo più, ma uno paone il vedea divenuto. Della qual cosa tanta ammirazione le giunse, che ruppe il sonno...”.
Nacque Dante: colui che dà.
Mirella Mazzarini
Presidente dell'Unicef Marche ed ex dirigente scolastica. Da anni è impegnata nel campo del volontariato e della pedagogia.